Se c’è un posto dove davvero sento che i miei sogni diventano realtà quello è il maneggio, ma non uno qualunque, uno che si trova a Venezia: un posto dove l’erba cresce verdissima e gli alberi secolari sono alti e rigogliosi, dove le strade sono poco trafficate e i cavalli sono abituati a stare in un silenzio che trasmette tranquillità ed allegria.
Mi manca tanto quel luogo che frequentavo tutte le estati: la prima volta che ci sono stata non avevo neanche sei anni e l’ultima volta è stata due anni fa.
Me lo ricordo ancora benissimo: davanti all’entrata c’era un cartello bianco su cui vi era disegnato in blu la testa di un cavallo, un bersaglio per il tiro con l’arco e altro ancora.
Era un centro sportivo pieno di vita e di allegria; apparteneva ad un camping vicino al nostro e lo avevamo scoperto facendo un giro in bici.
Attraversando un sentiero di sassolini grigio chiaro, che scricchiolavano ad ogni passo, si accedeva all’interno della struttura e quindi a diversi padiglioni.
Mi ricordo benissimo il poligono per il tiro con l’arco a cielo aperto, un’altra cosa che ammiravo molto, e la strada che conduceva dentro un’ampia scuderia.
Si vedeva subito un enorme edificio bianco a forma di “L” con le tegole marroncino-rossastro, che non sapevo bene cosa contenesse, ed un’arena di sabbia chiara contornata da una staccionata in legno robusto, con tanto spazio tra le assi dello steccato per scappare nel caso qualcosa fosse andato storto.
Poi, all’ombra di un alberello, c’erano dei tavolini bianchi con delle sedie dello stesso colore, dove i miei genitori sedevano mentre mi guardavano fare lezione.
Le stalle erano perfette, disposte su un’enorme e interminabile fila; non era una perfezione fredda e rigida che ti fa rabbrividire, ma una perfezione calda e accogliente, con quell’odore pungente che t’investiva quando ci entravi: un misto di paglia, frumento, fieno e cavallo.
C’era anche un recinto all’aperto per far riposare i cavalli, un po’ più largo dell’arena, con una tettoia dove gli animali si radunavano quando il sole bruciava anche la sabbia.
Mi piaceva quel posto, mi piaceva salire in sella ai cavalli e accarezzare il loro sul collo all’inizio di una lezione e spazzolarli alla fine, facendo volare via, nella fresca brezza estiva, i peli che si staccavano dalla ruvida spazzola; era anche divertente intrecciare la criniera soffice e i ciuffetti che svolazzavano in giro per il muso.
Mi piaceva soprattutto quella sensazione di libertà che si provava a stare in sella in giornate come quelle, con il calore del sole che faceva sbocciare le margherite, con quel vento che ti scompigliava i capelli e che non cessava mai, leggero, ma interminabile, come le onde del mare che si infrangono sulla spiaggia senza sosta; come la passione che brucia nel petto e che anche nelle tempeste più violente continua a bruciare, tenace e caparbia, più di ogni altra cosa.
(Elena Limonta, classe 1A, Scuola secondaria di primo grado)