Ogigia era ormai lontana. La zattera era ancora stabile e integra e portò Ulisse fino ad una graziosa isoletta.
Il mare era calmo... il vento scompigliava i capelli delle signore, il sole scottava la pelle e le grida dei bambini felici riempiva il cuore di gioia.
Gli abitanti dell'isola, vedendo Ulisse così malconcio e stanco, lo aiutarono e lo portarono in un caldo locale.
Passarono tre giorni e tre notti prima che riuscisse ad alzarsi dalla sua branda e poté pensare tanto, pensò a Calipso.
Voleva aiutarla perché aveva capito che l'unica cosa che la dolce ninfa desiderava era sentirsi meno sola. Allora, nella sua mente, aveva progettato un oggetto che lo avrebbe aiutato a ritrovare Ogigia, la patria di Calipso.
Appena fu in forze chiese agli abitanti del villaggio dove avrebbe potuto stare per costruire la sua macchina.
Meneo, il re dell'isola, lo accompagnò in un grande magazzino, con muri di pietra scura e un portone di legno massiccio.
L'interno era buio. Le uniche fonti di luce erano due piccoli bracieri posti ai lati della sala. Al centro c'era un grande tavolo di mogano sul quale erano poggiati attrezzi di ogni genere.
Ulisse fu subito entusiasta di poter usare quello spazio: gli ispirava calma e precisione.
Una volta avuti tutti i materiali necessari, si mise all'opera e per nove giorni e nove notti lavorò sodo, senza mai fermarsi.
Passava le giornate ad assemblare, smontare e rimontare un piccolo oggettino dall'aria ingarbugliata e divertente.
Gli ingranaggi ticchettavano tranquilli, ma Ulisse continuava a dire che non era abbastanza, ma una notte trovò la soluzione: per individuare un'isola magica era necessario un oggetto magico.
La mattina seguente, appena si svegliò, chiese a Meneo se poteva avere un cristallo magico, il più bello dell'isola.
Il re, dubbioso, ordinò ai suoi servi di cercarlo e questi, dopo qualche ora, tornarono con la pietra più graziosa che si fosse mai vista: lucida come la selce, lucente come il sole e bella come gli occhi della divina Era.
Appena Ulisse prese in mano il cristallo, corse nel suo laboratorio e lo inserì con delicatezza nella macchina: finalmente l'astrolabio magico era pronto!
Proprio in quel momento barbari armati fino ai denti irruppero sull'isola, distruggendo tutto ciò che incontravano.
Il fuoco era alto nel cielo e il fumo rendeva l'aria irrespirabile.
Ulisse prese le sue armi e corse incontro agli invasori sperando di salvare qualche vita. Aiutò donne, bambini e persino il re.
Quando gli aggressori andarono via, la popolazione era dimezzata, c'erano centinaia di feriti che pregavano Apollo ed Esculapio, sperando che potessero essere curati. I sopravvissuti piangevano le perdite e si sostenevano a vicenda, augurandosi che Ade concedesse di restare almeno nelle Praterie degli Asfodeli.
Ulisse, preso dal panico, corse al laboratorio: buona parte del tetto era crollato e i barbari avevano rubato tutto ciò che vi era al suo interno, compreso l'astrolabio.
Dopo aver aiutato il re a riorganizzare la sua città, decise di ripartire per tornare alla sua Itaca.
Mentre navigava scrisse un biglietto alla dolce ninfa e lo inserì all’interno di una bottiglia che affidò al mare. Sperava così che prima o poi il messaggio avrebbe raggiunto Ogigia e sarebbe stato letto da Calipso…la sua ninfa! La donna avrebbe così appreso che Ulisse voleva inventare un oggetto magico per ritrovarla, ma che dei dannati barbari avevano distrutto il suo sogno…
(Sara Viganò, classe 1 A, Scuola secondaria)