Cupe foreste di abeti rossi s’affacciavano arcigne sulle due rive del fiume gelato. Un vento recente aveva strappato dai rami il bianco mantello di ghiaccio e, nella luce dell’imbrunire, gli alberi parevano appoggiarsi l’uno all’altro, neri e minacciosi. Un vasto silenzio avvolgeva il paesaggio.

E il paesaggio stesso era desolato, senza vita, immobile, così solitario e freddo che neppure si poteva dire vi regnasse un senso di tristezza. (Jack London – cit. da Zanna Bianca)

Da questo incipit ha inizio l'avventura di Jack ideata da Giulia...

Ad un certo punto però, dietro a due cespugli mezzi spogli, verdognoli e innevati, spuntò qualcosa, ma non era un animale…

Due mani fecero strada al resto del corpo: era una ragazza. Al suo fianco marciava un lupo, la sua pelliccia era soffice e umida, di un colore bianco così splendido che sembrava argentato.

La ragazza era di media altezza, fin troppo magra, il viso era ovale, la pelle olivastra e i suoi capelli erano lunghi e scuri, color carbone, legati in una treccia laterale; i suoi occhi erano così azzurri che sembravano di ghiaccio. Il naso e la bocca erano coperti da una sciarpa. Indossava un vestito verde, comodo e molto morbido, con sotto delle calze pesanti che superavano il ginocchio; indossava un lungo mantello nero, chiuso sul davanti da un bottone in oro, di un giallo abbagliante.

Continuavo a soffermarmi sul suo sguardo, che sembrava impaurito e preoccupato.

La ragazza veniva verso di me, si mise a correre e in pochi secondi mi raggiunse.

La prima parola che disse fu “Emily”; pensai fosse il suo nome ed io di risposta pronunciai il mio: “Jack”. Lei fece un mezzo sorriso.

Iniziò a spiegarmi che mi stava cercando e che non ci sarebbe stato un futuro per la foresta innevata se io non avessi ripreso, entro il tramonto, “la gemma” che la faceva rimanere in vita. Chiesi spiegazioni: “Perché io? Che senso ha questa gemma? Io ricordo solo il mio nome! Chi sei tu?”.

La ragazza sembrava confusa, ma disse che non c’era tempo, che io ero la sua unica speranza.

Accettai la missione, ma non avevo ancora compreso tutta la storia.

Per la notte, che ormai era arrivata, ci sdraiammo sotto un enorme pino, nella neve gelida, avvolti nei nostri sacchi a pelo, con un bel fuoco attorno e il lupo di Emily che faceva da guardia.

La mattina dopo mangiammo qualche provvista trovata nel mio zaino e bevemmo un po’ d’acqua. Poi iniziammo ad incamminarci.

Dopo ore e ore di viaggio arrivammo davanti ad una grotta.

La ragazza mi disse che lì c’era la gemma, ma anche Luka, l’uomo che voleva tenerla. Entrammo, era un ambiente buio e inquietante, non mi sentivo molto a mio agio.

Dopo dieci passi ecco la prima trappola: una dozzina di enormi lame grigiastre e arrugginite dondolavano assassine davanti a noi.

Emily mi prese la mano e si mise a tirarmi, una breve scivolata e la prima lama si fermò a mezz’aria; andammo avanti così per altre dieci. All’ultima però pensai di essere morto.

Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in una gabbia per animali. Ero con la mia amica che mi abbracciò dicendo che era molto preoccupata per me. Io diventai tutto rosso. Poi aggiunse che per uscire da lì dovevamo chiamare le “forestiere”.

Allora incaricò il suo lupo di andarle a cercare. L’animale, con un balzo spettacolare, uscì fuori dalla gabbia.

Alcuni minuti dopo un esercito di frecce spuntò sotto di noi e, non so come, si conficcarono nelle pareti rocciose alla velocità della luce. Sei ragazze saltarono e si aggrapparono alla nostra prigione che dondolava appesa al soffitto della grotta.

Proprio in quel momento si sentirono dei passi pesanti: era Luka. Si diresse verso di noi, ma era così buio che non vide le forestiere.

Una ragazza passò arco e frecce ad Emily che, con la mira più precisa che io avessi mai visto, colpì l’uomo. Mi disse che era solo addormentato, non morto, quindi dovevamo muoverci.

Le nostre salvatrici ci liberarono. Ci mettemmo a correre per la terrificante grotta in cerca della gemma. La trovai quasi subito: era viola, di una sfumatura più sul magenta, liscia e incredibilmente luminosa, ma soprattutto capii che era magica.

La presi in mano con titubanza e subito mi ritrovai in una magnifica casa: aveva le pareti gialle e il tetto rosso, con un metro di neve accalcato sopra.

Insieme a me c’era Emily e, a dire la verità, ne ero molto felice…

(Giulia Vimercati, classe 1 A, Scuola secondaria)