Cupe foreste di abeti rossi s’affacciavano arcigne sulle due rive del fiume gelato. Un vento recente aveva strappato dai rami il bianco mantello di ghiaccio e nella lue dell’imbrunire gli alberi parevano appoggiarsi l’uno all’altro, neri e minacciosi.
Un vasto silenzio avvolgeva il paesaggio. E il paesaggio stesso era desolato, senza vita, immobile, così solitario e freddo che neppure si poteva dire che vi regnasse un senso di tristezza…Uno sbuffo di Flick spezzò la quiete, come se una sottile lastra di ghiaccio si fosse all’improvviso spaccata, lo guardai ed incrociai il suo sguardo spaventato, con gli occhi dilatati e le orecchie che fremevano; mi si strinse il cuore nel vederlo così, il mio cavallino spaurito ora sembrava avere paura.
Mi avvicinai e gli strinsi forte il collo, in quello che avrebbe dovuto essere un abbraccio, magari venuto un po’ male.
Sentì il suo fiato caldo sulla pelle e la lunga criniera mi punzecchiò il naso. Lo carezzai sul muso e lo incitai ad andare avanti.
Anche io non ce la facevo più, ma averlo di fianco mi diede la forza per continuare.
Avanzammo fino a quando trovammo una radura nella foresta, nel bel mezzo del nulla e ci sdraiammo stremati a terra, sull’erba ghiacciata.
Tolsi dalla sua groppa le borse da equitazione e mi sfilai lo zaino dalle spalle.
Guardai tutto quello che avevamo portato: il mio zaino da campeggio con tutto quello che può servire per una settimana nel bosco, provviste comprese; le bisacce che avevo preso dalla soffitta; quelle che avevo vinto ad una gara di cross cowntry con Aira, la madre di Flick, quando ancora tutto andava per il verso giusto.
Tirai fuori la tenda ed iniziai a montarla.
Lo avevo fatto almeno un centinaio di volte durante le vacanze e ci misi meno di dieci minuti, <<il mio nuovo record!!!>>, bisbigliai compiaciuta.
Gli sistemai una coperta sulla groppa ed entrai in tenda, sicura che non sarebbe scappato, perché e esattamente quello che avrei fatto io.
Scivolai nel sacco a pelo e ripensai a come eravamo finiti lì…
Tutto era iniziato mesi prima quando Aira, la mia prima cavalla, una splendida purosangue incredibilmente sensibile, dopo aver vinto la sua ultima gara era rimasta incinta.
Allora ho immediatamente chiuso con i concorsi e ho aspettato con pazienza che arrivasse il grande momento.
Dopo quasi un anno finalmente diede alla luce uno splendido puledrino.
Nello stesso istante, io, che le stavo accanto assieme al veterinario, la guardai, lei guardò me e in qualche modo ci capimmo.
Con gli occhi lucidi le accarezzai la fronte, diedi un ultimo bacio a quella stella che spiccava fra i ciuffi della criniera e le sussurrai dolcemente all’orecchio <<buon viaggio cavallina coraggiosa>>.
Lei appoggiò la testa a terra e davanti agli occhi mi passarono tutti i singoli istanti trascorsi insieme, dal primo all’ultimo.
Riprovai in un battito di ciglia ogni emozione fino a quando rimase solo un senso di tristezza e un sapore amaro in bocca: era tutto finito. Tutto!
Non riuscì più a trattenermi e scoppiai in lacrime, mi si era rotto qualcosa dentro; qualcosa che sapevo nessuno mai avrebbe potuto rimettere insieme.
Dovettero trascinarmi in camera mia di peso.
Piansi tutta la notte e ricordo che da quel giorno non volli più vedere Flick.
Non andai più alla scuderia fino a quando i miei genitori non decretarono che se non lo avessi cavalcato entro la fine della settimana, lo avrebbero venduto, perché secondo loro pagare l’affitto del box senza che nessuno lo cavalcasse era inutile; prima almeno avevo come scusa il fatto che era ancora giovane e fino ai tre anni non poteva essere montato, ma ora… aveva raggiunto l’età giusta, i tre anni e mezzo, e io ancora mi rifiutavo di guardarlo.
Da quel giorno era iniziata una corsa contro il tempo; non potevo permetterlo, in un certo senso lo avevo anche promesso ad Aira.
Dopo quasi una settimana di inutili tentativi decisi di scappare.
Venerdì avevo preso armi e bagagli e me ne ero andata con lui, perché in fondo non aveva colpe!
Partimmo senza meta, senza neanche sapere dove stavamo andando. L’unica cosa importante era allontanarmi il più possibile da lì.
Scivolai in un sonno profondo e sognai Aira, sognai di stare ancora con lei in un campo disseminato di papaveri. C’era un sole splendido e non soffiava neanche un filo di vento.
Poi, ad un erto punto, il sogno si è dissolto nella nebbia, e ancora prima di aprire gli occhi sentii qualcosa di morbido sfiorarmi la faccia.
Spalancai gli occhi spaventata e vidi sopra di me, che provava ad entrare nella tenda, Flick.
<<Ma lo sai che si bussa prima di entrare?!>>, gli dissi ridendo, <però esci adesso!>> esclamai spingendolo fuori.
Era ancora buio.
Mi stiracchiai e lo accarezzai sul ponte del naso. <<Che ne dici di provare adesso>> sussurrai a me stessa.
Mi avvicinai lentamente alla sua groppa e, prima che se ne rendesse conto, gli saltai sulla schiena.
Lui, come tutte le volte, impennò e si dimenò come un cavallo da rodeo. “Resisti”, pensai. Mi strinsi forte alla pancia e al collo con braccia e gambe, cercando disperatamente di non cadere, e mi chiesi come cavolo mi era venuto in mente di salire a pelo su un cavallo non ancora domato.
Dopo svariati tentativi di disarcionamento (tempo di resistenza: due minuti spaccati), mi scaraventò a terra ad un soffio da un pino. Io sapevo cadere, solo che quello era terreno di bosco, non morbida sabbia.
Ci misi qualche secondo a riprendermi dalla botta, intanto, come se si fosse appena accorto di quello che aveva fatto, stranamente tornò da me e mi diede una testata per incitarmi ad alzarmi.
Ancora barcollante mi tirai su e lo guardai <<Se ci provo ancora lo rifai, vero?>>. Mi fissò e si girò di traverso, come per dire: << Vediamo se hai il coraggio di salire di nuovo>>.
Passai la gamba oltre la sua schiena e mi issai su; non si era mosso di un millimetro.
Va bene, quando vuoi sai essere davvero incredibile!>>. Il mio cuore straripava felicità, lo avevo salvato! Ce l’avevo fatta!!! Sentì i suoi muscoli tendersi ed in un istante capì cosa voleva fare. Correre, voleva correre e sfidare il vento.
Appena partì per poco non caddi di nuovo.
Corremmo, volammo sopra un’alba surreale e tornammo a casa, sicuri e felici che nessuno avrebbe più provato a separarci, per sempre.
(Elena Limonta, classe 1A, scuola secondaria)