E la volevate vincere sta champions! E invece guardatevi quattro goal vi hanno segnato!!”

Questi erano i messaggi che mi arrivano la notte del 3 Giugno, nella quale si è giocata l’aspettatissima finale di champions, ma secondo voi, in quel momento, a me interessava che la juve avesse perso, anzi, secondo voi, io in quel momento sapevo che la juve avesse perso?

Ebbene no.

Infatti io, tifosa juventina, insieme alla mia famiglia (famiglia juventina) ci siamo recati in Piazza San Carlo a Torino insieme ad altri 30 000 tifosi bianchi neri.

Ci aspettavamo una serata all’insegna dello sport, sicura, e divertente, e  inizialmente lo era, ma invece al ventesimo minuto del secondo tempo questa si è trasformata in una serata di panico e terrore, che ha fatto cancellare la partita dalle teste di noi tifosi ( e ce ne vuole a far scordare della FINALE DI CHAMPIONS a noi con il cuore a strisce).

Credo di non essermi mai spaventata così tanto in vita mia, di notizie ai telegiornali di attentati ne sentiamo, e abbiamo sicuramente visto anche delle immagini; ma è completamente diverso provare sulla propria pelle un’esperienza di terrore così.

Io ero nella zona riservata ai disabili, appunto perché mio cugino Tommaso è in sedia a rotelle, poco dopo che il Real ha segnato il terzo goal, sento mia madre che con una mano mi spinge bruscamente e mi urla di scappare.

Non sapevo cosa stesse succedendo, sentivo solo un rumore forte, simile a un brusio di api, ma la gente urlava che due camion stavano passando sopra la folla, quindi ho pensato che fosse il loro rumore.

Ho scavalcato delle transenne, ancora non so come, schiacciando, assolutamente senza farlo apposta, persone che erano cadute, ma in quel momento non ci pensi, e l’unica cosa che il cervello ti dice di fare è scappare, di correre.

Così ho perso subito i miei genitori di vista, ho pensato immediatamente al peggio; signore che urlavano che avevano investito tutti.

In preda al panico più totale ho trovato un ragazzo, ferito alla schiena, che mi ha aiutata a scappare.

Non mi ha lasciata sola un secondo, eravamo nella stessa situazione, io avevo perso i miei genitori e mio cugino, e lui aveva perso i suoi amici.

Insieme siamo corsi nella direzione che ci sembrava più sicura.

Per terra c’era un sacco di sangue, era ovunque, e bisognava fare attenzione a dove mettevamo i piedi, si poteva scivolare su di esso.

Il panico era sempre di più, mia madre non rispondeva al telefono, e la gente scappava ovunque, piena di sangue, urlando che c’erano bombe e che stavano sparando; non capivo davvero nulla…

Dopo aver corso per non so quanto tempo, ci siamo fermati nella “piazzetta” davanti alla stazione, dove grazie a mio padre che mi aveva chiamata, c’è riuscito a raggiungerci.

Il ragazzo che mi ha soccorsa ha ritrovato i suoi amici, ed io sono andata via con mio papà.

Avevano chiuso la via da dove eravamo passati, ma dovevamo per forza ripercorrerla per ritrovare mio cugino e mia mamma.

Così correndo, e contro la mia volontà, perché stavo davvero male e dallo spavento svento, li abbiamo raggiunti, e finalmente tutti e quattro eravamo insieme, ma il panico era davvero tanto.

C’erano feriti ovunque, e molto sangue.

Io mi sono trovata il braccio e i vestiti sporchi di sangue, e mia mamma, nella pazza corsa ha perso due telefoni.

Lo spavento è stato tanto, e personalmente, credo proprio che per un bel po’ di tempo non mi farò più vedere in posti affollati.

La notte non sono riuscita per niente a dormire, mentre la mattina la situazione era più calma, anche se a tutto si è aggiunta la tristezza e l’arrabbiatura della sconfitta…

Ora io e la mia famiglia stiamo bene, ci poteva andare molto peggio, e vorrei fare i miei complimenti a tutti i ragazzi e ragazze che erano presenti, perché TUTTI, ci siamo aiutati fra di noi, c’è stata moltissima solidarietà.

(Alice Cantù, classe Terza D, Scuola Secondaria di primo grado)