Sono Elisabetta e questa è la mia esperienza vissuta in quarantena.

Quando ho scoperto che mio papà aveva il Covid mi ha assalito una paura immensa.

Era di là, chiuso in camera, da solo, come un animale dello zoo.

Noi intanto vivevamo la vita quasi normale, riempita dall’odore dell’alcol e del disinfettante spray.

Ricordo ancora il giorno del primo tampone.  Come dimenticarsi quello stecco che si infilava come un coltello nel naso, con la strana sensazione che da lì a poco avrei sentito il sangue scendere caldo dalle narici.

È lì che ho percepito concretamente l’inizio di una profonda solitudine.

Prima stavamo in casa solo per precauzione, ma da quel momento abbiamo dovuto isolarci per forza. Mio fratello era positivo, io no. Mi tenevo a distanza da lui. Avevo paura. Ma come si fa a resistere a degli occhi così dolci?

Passavo molto tempo davanti alla tv o usando il tablet tanto che, a volte, me lo facevo “confiscare” dalla mamma perché mi rendevo conto di esagerare.

La notte non riuscivo a dormire, quindi leggevo diverse pagine e tenevo sempre il libro a portata di mano, sul comodino o sotto il cuscino, nella speranza che le parole costruissero un ponte verso la libertà della volta celeste, nel mondo dei sogni.

Poi anche la mamma si ammalò.

“Resistenza”, mi chiamavano, perché ero rimasta l’unica negativa, ma dopo qualche giorno anche io ebbi l’esito del tampone positivo. Ora facevo parte del gruppo. Anche se asintomatica, sentivo il terrore di andarmene per sempre o di aver contagiato qualche mio compagno di classe o qualcuno a me caro, come i nonni. Ma non vedendo nessuno da diverso tempo ero quasi certa di non aver fatto del male a queste persone.

Se da una parte dispiaceva a tutti essere positivi, dall’altra papà poté uscire dalla stanza e abbracciarci di nuovo.

Il Natale trascorso non fu uno dei migliori. Senza nonni, zii e cugini che ci rallegravano, era un giorno normale, però con i regali, l’albero e i cupcakes.

Di dolci ne ho cucinati in abbondanza in quarantena. Torte, biscotti e tanti altri…

Ora parliamo della scuola. Fare lezione in DAD non è una promessa di salvezza, ovvio, ma era una speranza. È cominciata qualche giorno dopo l’inizio della quarantena. Era bello rivedere i miei compagni, anche se in un modo un po’ diverso dal solito.

Ogni tanto saltava la connessione, perciò non riuscivo a seguire proprio tutte le spiegazioni. Ma non restavo indietro e per me era un sollievo enorme.

Non parlo volentieri di quello che ho vissuto: è brutto non vedere nessuno, a parte i volti dei familiari e il tuo da cui traspare un sottile velo di paura.

Non nego di aver passato dei momenti felici, ma è un’esperienza scioccante.

Non auguro a nessuno di provare lo stesso timore di stare male o vedere stare male gli altri.

La nostra famiglia era asintomatica, ma non per questo abbassiamo la guardia. Continuiamo a prestare attenzione, indossando la mascherina, igienizzando sempre le mani e rispettando tutte le regole che questa pandemia ci ha imposto.

La guerra conto il virus è ancora in atto e noi dobbiamo essere più furbi e… positivi! Ma non in quel senso!

(Elisabetta Inzillo - classe 1 A - Scuola secondaria)